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Essere introversi: un problema o una caratteristica?

Immagine del redattore: Paola  CastaldelliPaola Castaldelli

Se è vero che per l’essere umano è impossibile non comunicare, in famiglia, nel lavoro, nelle relazioni amicali, spesso si teme di esprimere la propria opinione, perché ci convinciamo che non sia interessante, che sia la risposta giusta da dare, che saremo rifiutati nel dire o non dire come la pensiamo.


Per questo, per le parole che non escono, bloccate in gola, eccola lì l’insicurezza che fa capolino, il giudizio che ci fa sentire sbagliati poiché non omologati al sentire comune, che ha sempre qualcosa da dire, che quasi ci invita ad essere a tutti i costi espansivi. L’essere riservati e taciturni, spesso, è vissuto come una condanna. Ci spremiamo la mente per ideare un discorso, vi è difficoltà nell’esprimersi, nel costruire un’orazione di senso compiuto e quindi si opta per il silenzio, sostenuto da un grande senso di disagio, un vero e proprio problema che quotidianamente si ripresenta. E se cambiassimo la classificazione di ciò che definiamo problema come una nostra caratteristica? Un qualcosa che mi contraddistingue e che rappresenta il mio modo di essere e agire, che più ostacolo e più si manifesta, per dirmi, che è quello il modo in cui il mio essere si riconosce e vuole esprimersi?


“Mia sorella Maria è completamente diversa da me! Lei è estroversa, si adatta facilmente a nuovi gruppi di amici, al lavoro riesce a dialogare con tutti, io non sono affatto così, sono timida!”


In quanti siamo caduti nella trappola del confronto? Chi ci dice che vi è un giusto o sbagliato modo di essere e di aprirsi al mondo? Noi crediamo che sia la timidezza ciò che ci ferisce del nostro essere, invece, è il giudizio di come la dipingiamo, di come parliamo di noi che più incide sulla nostra serenità.


Quindi che fare, se non sforzarci di essere come non siamo? Ecco la maschera di come pensiamo di doverci mostrare che copre la nostra vera natura. Quanta sofferenza in questa castrazione del nostro essere, quanta fatica, e questo si evidenzia anche nella nostra comunicazione verso l’esterno. Ci blocchiamo e ci sembra di non aver nulla di interessante da dire. Per forza! Stiamo imponendo a noi stessi un modo di comunicare nella società che non ci appartiene. Via lo sforzo di essere per forza un chiacchierone, ascoltiamo i nostri silenzi, e lasciamo accadere, manifestare i nostri interventi spontaneamente, accettando che, a volte, non abbiamo proprio nulla da dire, aggiungere, al momento che stiamo vivendo.


Il problema, se mai ve ne fosse uno, non è che non ho niente da dire e che mi impongo di dover commentare per forza, perché se lo fanno gli altri, io non voglio, non posso, sentirmi diverso. Ma è in quella diversità che vi è la nostra autenticità, perché ognuno deve difendere la propria irripetibilità, non imitare le caratteristiche dell’altro. Se sono predisposto all’ascolto, alla riflessione è questa la mia identità, concedendomi il mio tempo di elaborazione, di contatto con ciò che mi circonda potrò davvero contribuire con una restituzione di valore, che non è fatta necessariamente di parole, ma di gesti, espressioni che possono confortare, abbracciare, sostenere l’altro, manifestando la mia natura nella modalità che più è affine al mio mondo interiore, senza svilirmi, se ad una cena con gli amici tendo più ad ascoltare che a intervenire con un’opinione. Perché, forse, la vera comunicazione efficace è quella spontanea, quando non è imposta o artefatta, dove voglio somigliare solo a me stesso, con i miei valori, le mie emozioni, le mie idee e mi vado davvero bene così come sono, straordinariamente come sono.

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