“Non bisogna per forza andare a pranzo con i colleghi per lavorarci bene insieme”; “Non è
necessario stimare per forza qualcuno con cui devi lavorare”; “Il fatto che una persona mi sia
simpatica non vuol dire che la prenderei per forza a lavorare con me”.
Sono alcuni dei luoghi comuni che si sentono in contesti lavorativi diversi ma accomunati da un dato trasversale: l’evidente e strisciante mancanza di armonia interna di un’organizzazione.
Intendiamoci se c’è una cosa che ho imparato in 25 anni di lavoro (nozze d’argento quest’anno, esattamente metà della mia vita) è che luoghi in cui simpatia, competenza e stima vadano a braccetto sono quasi utopistici. Esistono ma sono molto difficili da trovare e questo non dipende necessariamente da noi stessi. Paradossalmente uno dei principali sostenitori di queste argomentazioni è stato uno dei più brillanti oratori della storia contemporanea: Barack Obama.
Guarda caso però se c’è stato un Presidente che ha deluso le aspettative con cui era stato
accolto (forse perché eccessive) è stato proprio lui. Sì, perché se ci sono due milestones da
tenere presenti in qualsiasi contesto in cui ci si trova a operare sono: non la simpatia, non la
stima, ma la fiducia e il rispetto sì.
Nei miei primi 50 anni di vita, infatti, ho toccato con mano che a prescindere dal fatto che si sia in famiglia, a lavorare o fare volontariato o anche solo a gestire una gita con amici, se manca il senso di affidabilità di una persona che scaturisce dalla fiducia è la fine. Innanzitutto del rapporto umano, e senza rapporto umano non c’è attività che si possa svolgere.
I casi che potrei citare a livello lavorativo e di volontariato e di famiglia sono tantissimi. Mi
limiterò a ricordare il “caso-madre”. Una collaboratrice di giornale locale che, dopo “i pacchi” più diversi e improbabili nella consegna degli articoli (ho mandato il servizio se non lo ricevete è colpa della vostra connessione (eravamo nel 1998); arriva tra cinque minuti (lo sto ancora aspettando adesso), si impegna a fare un servizio sulla siccità. Già all’epoca argomento “caldo”.
Il giorno prima della deadline la cerco e ricerco più volte. Alla fine via sms (inviato alle 1:30 am!) dice: ho visto che minacciava pioggia e non l’ho fatto. Nessun problema avevo già tre articoli pronti in sua sostituzione. Morale: fidarsi è bene, soprattutto del proprio istinto.
Ovviamente la collaboratrice non ha più scritto, perché ha violato la più elementare delle regole: se non sei affidabile, non sei, ovvero non esisti. E questo vale in qualsiasi contesto: anche il volontariato va organizzato. Mia moglie nei primi tempi della convivenza mi ha detto una cosa sacrosanta: “Se fai una cosa, falla soprattutto per te stesso. Non aspettarti di essere
ringraziato”. Sul momento ci rimasi male ma aveva ragione. Se vogliamo lasciare il mondo un po’ migliore di quello che abbiamo trovato puntiamo su quelle frasi e su quelle situazioni positive di cui avremmo avuto bisogno e di cui vorremmo essere portatori: essere l’adulto di cui avevamo bisogno; essere il compagno/amico/collega che avremmo voluto; lasciamo il mondo migliore di come l’abbiamo trovato. Non per gli altri, ma per noi. Tutte queste situazioni hanno in comune una costante: fiducia e rispetto. Se ci vogliamo bene e vogliamo che gli altri ce ne vogliano (o almeno non ci detestino) partiamo da lì: dal rispetto per noi stessi e dalla fiducia che vorremmo ispirare. Se siamo noi i primi a dubitare di noi stessi e a non fidarci di ciò che facciamo, sarà difficile, se non impossibile, emanare la positività necessaria a sostenere gli altri e ad attrarre persone valide. Fiducia e rispetto nascono da noi.
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